Ramzee ha 15 anni e viene dal campo profughi di Deheishee, Betlemme.
Un mattina, mentre Ramzee esce di casa alle 6.30 per andare a scuola, i soldati israeliani irrompono nel campo per effettuare un arresto come da loro abitudine.
Due volte a settimana circa.
Appena vedono il ragazzo aprono il fuoco, mirano alle gambe.
Ramzee viene atterrato da tre proiettili che colpiscono entrambi gli arti inferiori. Anche il suo amico becca lo stesso trattamento.
Dopo un’attesa che il giovane non sa quantificare, arriva l’ambulanza. Ramzee subisce 8 operazioni.
Al termine di questo periodo in ospedale, dopo qualche giorno, i soldati vengono a prenderlo a casa e lo arrestano con l’accusa di lancio di pietre.
Durante il periodo in cui rimane in carcere, Ramzee subisce tutti gli umilianti e dolorosi “passaggi” che attraversano la permanenza in una prigione israeliana quando sei un palestinese.
Si passa da ispezioni di ogni tipo a posizioni di stress a interrogatori interminabili in cui le minacce di morte alla tua famiglia e di detenzione a vita, la violenza e l’offerta di collaborazione si alternano in un vortice infinito.
Per insufficienza di prove il ragazzo esce. Lo aspettano i domiciliari per 3 mesi.
3 mesi in cui Ramzee riceve le visite dei soldati, 3 mesi di minacce telefoniche, 3 mesi di isolamento dalla propria comunità e dai propri amici, e, a causa dell’attacco subito, 3 mesi di assenza da scuola perché Ramzee non riesce a stare seduto per molto tempo.
Ha 15 anni. Vive in un regime di apartheid quotidianamente. Gli hanno sparato ad entrambe le gambe. L’hanno arrestato.
Ora è ai domiciliari. Stava andando a scuola. Lancio di pietre.
Ogni anno i minori detenuti nelle carceri israeliane aumentano a dismisura. Le cifre ufficiali parlano di 600/700 all’anno, ma abbiamo ragione di credere che siano superiore.
Il numero dei giovani diventati martiri è salito: solo nell’ultima Intifada dei giovani siamo intorno a più di 142 martiri e 15 mila feriti, un dato che continuerà a crescere.
Il governo di ultradestra israeliano non sembra voler fare marcia indietro e rilancia la nuova tattica: inutile far diventare i palestinesi martiri. Negli Hot Spot della Resistenza la nuova linea è mirare alle gambe, rendere tutti i ragazzi invalidi: non sono più eroi, diventano un fardello per la famiglia e inutili per la Resistenza.
A Deheishee i giovani in stampelle o sedia a rotelle si aggirano intorno alla novantina… su una popolazione di 35.000 abitanti.
Questa è una delle realtà della vita dei giovani sotto occupazione israeliana.
Il Progetto 6220km2 parte dalle disumane condizioni che la popolazione palestinese deve subire da 70 anni e più dall’inizio dell’occupazione israeliana, per arrivare ad indagare invece sugli spazi di libertà che i ragazzi e le ragazze palestinesi si prendono.
Il riscatto come forma di Resistenza, cura della memoria, frattura dell’assedio a Gaza e dell’apartheid in Cisgiordania.
L’ottica dello scambio si arricchisce e diventa integrazione.
Incontreremo i pescatori di Gaza, da sempre obiettivo della furia israeliana, il corpo della Dabka (danza popolare il cui senso sta nel portare avanti la tradizione di lotta e le tradizioni che fanno della Palestina una terra unica, una terra da decolonizzare) e i gruppi musicali della Striscia e di Deheishee, organizzeremo un laboratorio di riciclo e sensibilità ambientale sulla spiaggia e incontreremo chi vive a ridosso della discarica a cielo aperto di Gaza.
Vivremo con loro la quotidianità e la straordinarietà delle loro attività in una terra non libera. Lavoreremo insieme e insieme decideremo come costruire il risultato di questa cooperazione che sarà una restituzione, un prodotto comune da utilizzare come strumento divulgativo di sensibilizzazione e di sostegno alla causa palestinese, nonché come immagine reale della Resistenza, spesso demonizzata sui media mainstream.
Sarà un reportage a più livelli a raccontare le esperienze che faremo con la popolazione: un reportage audio, video (nella forma di documentario o docu-film…lo scopriremo lavorando insieme!) e grafico attraverso il fumetto che verrà realizzato da artisti italiani e palestinesi e sarà corredato di una serie di rimandi a esperimenti artistici che verranno creati.
L’indagine è lo strumento principale di cui ci dotiamo: attraverso la condivisione degli spazi di libertà ci proponiamo di ricostruire il background degli ultimi anni di Resistenza, dal fallimento degli accordi di Oslo a questa Terza Intifada per arrivare sino a delineare quella diversità interna al territorio palestinese determinata dall’occupazione.
L’assedio nella Striscia di Gaza e l’apartheid in Cisgiordania di fatto comportano una differenziazione interna alla Palestina utile ai fini della colonizzazione.
6220km2 è proprio questo: la superficie della Palestina intera, come se la Striscia e la Cisgiordania non fossero divise
geograficamente.
E’ un progetto che sfida molte barriere: quella dell’isolamento di Gaza e del valico di Eretz, teatro quotidiano di violazione dei diritti umani sulla mobilità, quello dell’apartheid, quello della divisione tra questi due territori, quello dell’informazione manipolata e dello scetticismo, spesso anche da parte dei compagne, sul continuare a sostenere la lotta per l’autodeterminazione di un popolo invaso ed assoggettato.
Il sostegno al progetto è chiaramente fondamentale per riuscire nell’obiettivo: è un sostegno alla diffusione, alla condivisione dei sapere, al finanziamento anche una volta che siamo partiti.
Stay tuned!