Beit Layha, Gaza. Dalla campagna “Make a Change”, ecco a voi l’iniziativa “My house door is more beautiful”

E’ passato più di un mese dal ritorno in Italia, ma il progetto non è finito.
Mentre qui si lavora duro alla post – produzione, a Beit Layha la municipalità continua e anima la campagna che abbiamo fatto partire insieme con il percorso “Make a Change”.
Make a Change voleva e vuole essere un modo per riportare al centro del dibattito, nella Striscia di Gaza e fuori da essa, il tema del rispetto dell’ambiente. (vedi articolo sopra).
La situazione dal punto di vista ambientale a Gaza è drammatica.
La crisi energetica a Gaza acuitasi in seguito all’ultima guerra nel 2014 sta causando dei gravi deficit anche per quanto riguarda le condizioni igienico – sanitarie che si aggiungono ai problemi del servizio idrico. Mancando infatti diverse risorse idriche, la falda acquifera costiera è sovra sfruttata e numerose sono le infiltrazioni marine. Non esistendo nemmeno uno sistema per le acque reflue, la falda acquifera viene compromessa ulteriormente dagli scarichi domestici.
A questi problemi si aggiungono quelli che già sono stati sottolineati: discariche abusive a cielo aperto, mancanza di un sistema di smaltimento dei rifiuti adeguato, mancanza di mezzi adatti ad un’efficace pulizia …
Chiaramente il peggioramento delle condizioni e l’impossibilità di progresso sono determinate dalle pesanti condizioni dovute all’occupazione israeliana, che impone di fatto un blocco del passaggio di materiali, attrezzature e fondi.

Chi vive la Striscia non si arrende e continua con azioni di pulizia massicce per le strade e sulla spiaggia e con la sensibilizzazione degli abitanti.

Make a Change, che nello specifico dell’iniziativa di pulizia prende il nome di “My house door is more beautiful” prende forma in base alle necessità della popolazione e al consenso che sta nascendo verso questa campagna.

Riceviamo con piacere e pubblichiamo la terza azione di pulizia fatta in due mesi, chiediamo di far girare e sostenere, perché ad attivarsi è un popolo sotto assedio e sotto occupazione che non si ferma davanti a nulla.
“A group of young activists in Beit Lahyia city who were participated in the training exchange program with the italian team created a cleaning campaign called it (My house door is more beautiful ). It is an activity for all Beit Lahia’s neighborhoods to participate in cleaning in front of their houses, aiming to make it a weekly continues activity on friday morning. The activity was started in the western square neighborhood and it will go on for the rest Beit Lahia’s neighborhoods in the next coming weeks. The charman of italian cultural exchange “Meri Calvelli” attended the activity, provding the tools and the black bags for the people to encourage them in their first activity. People consider the activity as a good chance to meet each other and to enjoy a cup of coffee and tea. At the end of activity, Mery expressed her admiration for the great participation of children, young people and the elderly women who are promising to participate in next coming campaigns.”
Alcuni attivisti della municipalità di Beit Lahyia, che hanno partecipato insieme al gruppo italiano ad un programma di scambio, hanno creato una campagna per il rispetto all’ambiente che si chiama: “My house door is more beautiful ” (la porta di casa mia è più bella).
E’ un’iniziativa che chiede ai cittadini di Beit Lahyia di pulire nei dintorni delle loro case. L’obiettivo è replicare l’iniziativa ogni venerdì mattina.
L’attività è iniziata nella piazza ad ovest della municipalità e andrà avanti nelle prossime settimane nelle altre zone.
Anche referente dello scambio culturale con l’Italia ha partecipato all’iniziativa e ha fornito gli attrezzi e i sacchi per aggregare persone nuove.
Per le persone è stata anche un’occasione per incontrarsi e bere insieme una tazza di caffè o di te. Alla fine dell’attività, Meri era felice di vedere una grande partecipazione di bambini, persone giovani, donne anziane che parteciperanno alle prossime giornate

Perché un progetto di riciclo a Gaza?

La spazzatura è un problema globale.

E’ risaputo.

Nella situazione di assedio in cui versa la Striscia di Gaza, la gestione dei rifiuti diventa una catastrofe.

A Gaza si producono 90 tonnellate di rifiuti solidi al giorno. Non c’è raccolta differenziata (a volte non è possbile nemmeno la mera raccolta), non esiste un sistema per smaltirli e quindi per riciclarli e riutilizzarli.

I partner con cui ci siamo confrontati denunciano questa condizione e segnalano la mancanza di fondi e di mezzi per attuare modalità ecocompatibili ed ecosostenibili nel rispetto della natura e del paesaggio, agreste e marittimo (diversi sono i progetti pronti che non possono essere avviati per l’assenza di denaro).

Disporre di materiale e macchinari, inoltre, è a volte impossibile: sette anni fa, per esempio, dei compressori sono stati resi inutilizzabili. Il passaggio da Israele ha lasciato, per dirlo con un eufemismo, il suo segno.

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Palestina: 6220km2 sotto occupazione – Pronti per la partenza

 

Da: http://www.mil10375976_751352934998639_781076356563376383_nanoinmovimento.com/primo-piano/palestina-6220km2-sotto-occupazione-pronti-per-la-partenza

Ramzee ha 15 anni e viene dal campo profughi di Deheishee, Betlemme.
Un mattina, mentre Ramzee esce di casa alle 6.30 per andare a scuola, i soldati israeliani irrompono nel campo per effettuare un arresto come da loro abitudine.
Due volte a settimana circa.
Appena vedono il ragazzo aprono il fuoco, mirano alle gambe.
Ramzee viene atterrato da tre proiettili che colpiscono entrambi gli arti inferiori. Anche il suo amico becca lo stesso trattamento.
Dopo un’attesa che il giovane non sa quantificare, arriva l’ambulanza. Ramzee subisce 8 operazioni.
Al termine di questo periodo in ospedale, dopo qualche giorno, i soldati vengono a prenderlo a casa e lo arrestano con l’accusa di lancio di pietre.
Durante il periodo in cui rimane in carcere, Ramzee subisce tutti gli umilianti e dolorosi “passaggi” che attraversano la permanenza in una prigione israeliana quando sei un palestinese.
Si passa da ispezioni di ogni tipo a posizioni di stress a interrogatori interminabili in cui le minacce di morte alla tua famiglia e di detenzione a vita, la violenza e l’offerta di collaborazione si alternano in un vortice infinito.
Per insufficienza di prove il ragazzo esce. Lo aspettano i domiciliari per 3 mesi.
3 mesi in cui Ramzee riceve le visite dei soldati, 3 mesi di minacce telefoniche, 3 mesi di isolamento dalla propria comunità e dai propri amici, e, a causa dell’attacco subito, 3 mesi di assenza da scuola perché Ramzee non riesce a stare seduto per molto tempo.
Ha 15 anni. Vive in un regime di apartheid quotidianamente. Gli hanno sparato ad entrambe le gambe. L’hanno arrestato.
Ora è ai domiciliari. Stava andando a scuola. Lancio di pietre.
Ogni anno i minori detenuti nelle carceri israeliane aumentano a dismisura. Le cifre ufficiali parlano di 600/700 all’anno, ma abbiamo ragione di credere che siano superiore.
Il numero dei giovani diventati martiri è salito: solo nell’ultima Intifada dei giovani siamo intorno a  più di 142 martiri e 15 mila feriti, un dato che continuerà a crescere.
Il governo di ultradestra israeliano non sembra voler fare marcia indietro e rilancia la nuova tattica: inutile far diventare i palestinesi martiri. Negli Hot Spot della Resistenza la nuova linea è mirare alle gambe, rendere tutti i ragazzi invalidi: non sono più eroi, diventano un fardello per la famiglia e inutili per la Resistenza.

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