Una Conferenza di Pace per Israele e Palestina: quali vantaggi per il popolo palestinese?

Oggi, domenica 15 gennaio 2017, si terrà a Parigi quella che Le Monde ha definito “Una conferenza simbolica per il Vicino-Oriente”, mirante a mantenere in primo piano il dibattito sulla ricerca di una soluzione al conflitto israelo-palestinese e alla quale parteciperanno le delegazioni di 75 Paesi. Tra questi, non figurano però i rappresentanti dei due diretti interessati, Palestina e Israele: mentre la prima ha formalmente appoggiato l’iniziativa, il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman ha parlato di un “nuovo processo Dreyfus”, tacciando di antisemitismo la Francia e tutti gli altri Paesi partecipanti.
Fulcro dell’incontro, che secondo la stampa non porterà in ogni caso a una soluzione in tempi brevi, è il sostegno della soluzione “due popoli, due Stati”, che passerà attraverso la finale stesura di un documento nel quale saranno ufficialmente disconosciute le modifiche territoriali israeliane ai cosiddetti “confini del 1967”, vale a dire le politiche colonialiste messe in atto nei territori palestinesi della Cisgiordania.
Sebbene, a detta delle ultime statistiche diffuse dal The Israel Democracy Institution (IDI), il 51% dei palestinesi e il 59% degli israeliani parrebbero favorevoli alla risoluzione che prevede la spartizione dei territori, secondo il quotidiano francese più della metà dei membri del governo di Benjamin Netanyahu e la maggior parte della popolazione palestinese, ormai completamente disillusa rispetto a un’effettiva influenza di questo genere di iniziative, propenderebbero invece per lo Stato binazionale, il che porterebbe a uno “stato di guerra civile permanente”.
Altro tema scottante è quello dello spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme annunciata da Donald Trump, diretto seguito della decisione di nominare nuovo ambasciatore americano in Israele David Friedman, militante convinto e finanziatore della politica di colonizzazione. Una patata bollente che la Francia ha deciso di far passare tra le mani degli Stati che parteciperanno alla conferenza, con l’evidente scopo di costruire un fronte comune contro le politiche promesse da Trump, il quale, per non saper né leggere né scrivere, ha nel frattempo invitato alla sua cerimonia di vestizione i rappresentati di diversi insediamenti israeliani insieme a Benny Kasriel, sindaco di Maaleh Adumim, colonia israeliana a est di Gerusalemme. Inoltre, in rappresentanza degli Stati Uniti parteciperà, in uno dei suoi ultimi incontri internazionali in questa carica, l’attuale segretario di Stato statunitense John Kerry, il quale, sulla scia dell’amministrazione Obama, non sarà verosimilmente in grado di tracciare un quadro reale della visione del conflitto che il Paese manterrà nei prossimi anni.
Nonostante quindi il valore reale di tale iniziativa in termini di ricerca di una soluzione definitiva al conflitto lasci, per diverse ragioni, piuttosto dubbiose tutte le parti in gioco, nondimeno essa ha il merito di riportare al centro del dibattito internazionale la questione delle politiche coloniali israeliane, nonché di permettere una valutazione complessiva della posizione che globalmente verrà assunta nei confronti del conflitto a seguito della votazione delle Nazioni Unite dello scorso 23 dicembre.